LA RIFORMA DELLA VOLONTARIA GIURISDIZIONE IN PILLOLE


La legge 26 novembre 2021, n. 206 “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata” è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 9 dicembre 2021; consiste in un solo articolo di 44 commi ed è stata approvata mediante il voto di fiducia, senza discussione parlamentare.
La ratio della riforma è quella di ridurre i tempi del processo e conseguentemente di abbattere l’arretrato e, quindi, di consentire l’accesso alle risorse del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L’art. 1, comma 13 e la degiurisdizionalizzazione
Il nodo centrale che qui interessa del tessuto normativo in commento è rappresentato dall’art. 1 comma 13 dove si legge che le modifiche alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio dovranno rispettare i seguenti criteri:
a) ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l'intervento del pubblico ministero ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni, operando i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile e consentendo il rimedio del reclamo di cui all'articolo 739 del codice di procedura civile ai decreti emessi dal tribunale in composizione monocratica, individuando per tale rimedio la competenza del tribunale in composizione collegiale;
b) prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad altri professionisti dotati di specifiche competenze alcune delle funzioni amministrative, nella volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni.
E’ bene sottolineare che il recupero di efficienza riguarda non solo la riduzione delle ipotesi di collegialità a favore del giudice monocratico che rappresenta una scelta in linea con la risalente riforma processuale del 1998 (cfr. artt. 51 bis e 51 ter c.p.c.) al fine di aumentare il numero dei giudicanti ma soprattutto, per importanza, la scelta della parziale “degiurisdizionalizzazione”.
In ordine a quest’ultima opzione è evidente il collegamento con la dottrina controversa che collega “giurisdizione” e “giudicato” alla tutela dei diritti e che esclude tale la natura per la volontaria giurisdizione degradandola ad attività amministrativa per la cura degli interessi.
Illuminante sul punto la relazione che accompagna l’emendamento governativo i cui passi sono stati ereditati dai lavori della Commissione Luiso dove il potenziale conflitto di interessi nella volontaria giurisdizione “degiurisdizionalizzata” troverebbe comunque tutela in un controllo giudiziale eventuale e successivo mediante un ricorso giurisdizionale ad hoc.
Da qui la possibilità di devolvere al notaio le autorizzazioni ex artt. 320 c.c. in materia di rappresentanza e amministrazione da parte dei genitori, 374 e 375 c.c. per il tutore, 169 c.c. per le alienazioni del fondo patrimoniale, e 747 c.p.c. per l’alienazione dei beni ereditari, opportunamente condizionando tali attività in relazione a soggetti fragili ai requisiti di cui all’art. 320 c.c. (necessità o utilità evidente) e agli investimenti sicuri di cui all’art. 372 c.c..   

L’art. 1, comma 14 per i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione
A fronte della legislazione europea, l’attuazione o la contestazione dei provvedimenti di volontaria giurisdizione stranieri, in riforma di quanto previsto dall’art. 67 della L. 31 maggio 1995, n. 218 che rimandava all’art. 30 del D. Lgs. 1 settembre 2011 n. 150 (che prevedeva unicamente il rito sommario) sono decise mediante una struttura bifasica che prevede un provvedimento inaudita altera parte cui segue, solo eventualmente, un ricorso da trattare secondo le forme sommarie previste dagli art. 702 bis e ss. c.p.c.

L’art. 1, comma 23 e il “rito unificato”
Altro intervento significativo è quello che riguarda la previsione di un rito unificato denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” per tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare (con esclusione dei procedimenti per dichiarazione di adottabilità, di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46).
Dopo aver ricordato che il settore preso in considerazione contempla anche ipotesi di volontaria giurisdizione, ci si deve interrogare sulla eventualità che il nuovo “rito unificato” assorba e si differenzi dalle caratteristiche tipiche di quello camerale (tipico della volontaria giurisdizione) che, per esigenze di snellezza e speditezza, è caratterizzato dalla destrutturazione del procedimento con esclusione di preclusioni e decadenze e con il limite unico del rispetto del contradditorio. La conseguenza sarebbe un irrigidimento della struttura processuale di tutti i procedimenti di questo settore.
E in effetti, sino all’intervento normativo in questione, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione civile, sez. I 06/09/2021 n. 24042) anche in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha avuto modo di ribadire pure ultimamente che: “nel giudizio di appello, che ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 15, si svolge con rito camerale, la sommarietà della cognizione e la semplicità di forme che caratterizzano tale tipo di procedimento impediscono la piena applicazione delle norme che disciplinano il processo ordinario, ed in particolare dell'art. 345 c.p.c., comma 3, con la conseguenza che non può escludersi l'ammissibilità di nuovi mezzi di prova, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti (cfr. Cass., Sez. I, 30/11/2020, n. 27234; 13/04/2012, n. 5876)”.
A ben vedere, però, le lettere h) e i) dell’art. 23 introducono proprio decadenze e preclusioni con la salvaguardia delle domande, e dei necessari corredi di allegazione e di prove, che si fondano su fatti sopravvenuti o che, non riguardando diritti disponibili, hanno a oggetto i minori o i maggiorenni affetti da handicap.

In breve, il rito unificato si differenzierà notevolmente da quello camerale e questo gli sopravviverà e se ne distinguerà soltanto previa la riforma dei procedimenti camerali come indicato dall’art. 13 dove si legge: “il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi … ”.
In conclusione, nel settore di cui all’art. 23 sopra citato saranno auspicabili due distinti riti: quello unificato per le questioni in parola e quello (ancora) camerale per le procedure che, pur appartenendo al compendio in esame, riguardano la volontaria giurisdizione.

Avv. Aurora Marcelli

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