TRIBUTI LOCALI.CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL' AGEVOLAZIONE PRIMA CASA IN MATERIA DI ICI E/O IMU.



Il Dott. Sandro Gianni approfondisce la tematica dei tributi locali esaminando alcune decisioni emesse dall C.T.P. di Pesaro.


1) Tributi Locali: brevi cenni
2) La riforma del sistema impositivo dei Comuni.
3) Entrate dei Comuni 
4) Tributi locali. Accertamenti esecutivi.
5) La vicenda processuale e la decisione delle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. sentenza n.23997/2016)
6) Esame di alcune decisioni emesse dalla C.T.P. di Pesaro in tema di IMU per mancato o meno riconoscimento agevolazione prima casa.

1. Tributi Locali: brevi cenni
E’ opportuno qui premettere che, secondo l’art. 13, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003): “…con riferimento ai tributi propri, le regioni, le province, ed i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ ammontare delle imposte e tasse loro dovute, l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano a obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti”. 
Evidentemente, la norma non dispone alcuna forma di definizione agevolata per i tributi locali, ma si limita a dare facoltà a regioni, province e comuni di adottare autonomamente provvedimenti di sanatoria per i tributi di propria competenza, precisando taluni criteri da seguire nella eventualità di una loro adozione.
In particolare, potrà essere definito in modo agevolato il rapporto tributario, attraverso una riduzione delle imposte dovute, con riduzione o esclusione di sanzioni ed interessi. La definizione agevolata potrà riguardare anche i procedimenti in corso, sia amministrativi, riferiti cioè ai controlli ed alle verifiche tributarie, sia giurisdizionali, riferiti ai ricorsi proposti dal contribuente davanti ai giudici tributari, avverso gli atti di imposizione emessi dagli enti locali. Alla luce di tali elementi, vanno subito evidenziate le particolarità della definizione agevolata prevista dall’ art. 13 citato:  la disciplina relativa non ha un contenuto immediatamente precettivo, in quanto le forme di sanatoria dovranno essere decise, se lo vorranno, soltanto dagli enti interessati; la facoltà concessa agli enti locali di deliberare forme di sanatoria dei tributi propri ha carattere permanente, nel senso che la decisione relativa potrà essere adottata quando ritenuto opportuno, anche oltre i termini stabiliti per le altre forme di sanatorie previste ex lege.
La facoltà come sopra definita attribuita a regioni, province e comuni comporta che la notizia circa l’attivazione di sanatorie in materia di tributi locali potrà essere acquisita dai contribuenti interessati soltanto sulla base dei provvedimenti che, di volta in volta, i singoli enti locali riterranno di adottare. Pertanto, dovrà essere cura dei contribuenti stessi raccogliere dette informazioni in merito. 
2) La riforma del sistema impositivo dei Comuni: D.Lgs. n.23/2011.
In primo luogo occorre qui considerare l’imposta municipale principale   e, comunque, che, la revisione del sistema dei tributi comunali  costituisce l’importante fondamento della riforma federalistica, così avviata dal legislatore  con L. n.147/2009, perché si è attribuito ai Comuni una effettiva autonomia finanziaria di entrata e di spesa, con l’intento di responsabilizzare la predetta persona giuridica pubblica, in ordine all’utilizzo delle risorse pubbliche, così riducendone la dipendenza dai trasferimenti statali.
Inoltre, occorre qui porre in evidenza che,  a partire dall’anno 2014, è stata prevista l’istituzione di una imposta municipale propria (IMU) il cui presupposto è il possesso di immobili, diversi dall’ abitazione principale e sostituisce, per la componente immobiliare l’IRPEF (e le relative addizionali)  e la stessa ICI (imposta comunale sugli immobili). 
Vero è. però, che il d.l. n.201/2011, convertito in L. n.214/2011, ha anticipato, all’anno 2012, l’applicazione sperimentale dell’imposta, e la stessa L. n.147/2013, successivamente, ha provveduto a riformarla in senso sostanziale.
In ogni caso occorre qui porre attenzione all’ imposta municipale secondaria (IMUS) che avrebbe dovuto sostituire uno o più dei seguenti tributi: TOSAP, COSAP, imposta comunale sulla pubblicità, diritti sulle pubbliche affissioni. 
Vero è, peraltro, che l’istituzione di detta imposta, comunque, è stata in un primo tempo differita all’anno 2016 dalla L. n.11/2015(legge di conversione del d.l. n.192/2014) e la L. n.208/2015 ha disposto l’abrogazione dell’art.11, D.Lgs. n.23/2011, che ne disponeva l’istituzione.
In ogni caso deve esser qui pure ricordato che, ai sensi dell’art.1, comma 639 e ss. L. n.147/2013, è entrata in vigore, a decorrere dal dì 01.01.2014, la imposta unica comunale (UIC) che è, in realtà una service  tax, nel senso che raggruppa in sé ben tre differenti tributi e cioè: 
-una parte patrimoniale, corrispondente all’IMU, che non si applica all’abitazione principale, ad eccezione di quelle di pregio, così classificate nelle categorie catastali, A1,A8,A9;
-una parte riferita ai sevizi indivisibili, cioè TASI, destinata a finanziare i costi della manutenzione del verde pubblico, delle strade comunali, l’arredo urbano, l’illuminazione pubblica  e l’attività svolta dalla polizia locale; 
-una parte relativa allo smaltimento dei rifiuti, cioè TARI, commisurata ad anno solare, così determinando il Comune nella commisurazione di una tariffa  dei criteri determinati con il regolamento di cui al D.P.R. n.158/1999.
Evidentemente la imposta UIC  si basa su due differenti presupposti impositivi, di cui il primo è costituito dal possesso di immobili, in quanto collegato alla relativa natura e valore, mentre il secondo è collegato alla fruizione dei servizi comunali. 
3) Entrate dei Comuni.
A)Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP).
La menzionata imposta è disciplinata dal D.Lgs. n.507/1993, capo II, e si  ferisce all’ occupazione di spazi,  di qualsiasi natura (cioè, strade, piazze, mercati, e/o ad altri beni appartenenti al demanio e/o al patrimonio indisponibile del Comune).
Inoltre, deve essere qui pure ricordato che i Comuni ben possono decidere di istituire con apposito regolamento, un canone di natura corrispettiva (COSAP)  che presenta, peraltro, numerose analogie con la TOSAP, che ha, comunque, natura extra tributaria (vedasi, Corte Cost. sentenza n.64/2008).
B)Imposta Comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni. 
E’ evidente che il presupposto della imposta sulla pubblicità consiste, in via residuale, rispetto al diritto alle pubbliche affissioni, nella diffusone di messaggi, in qualsiasi modo effettuati, in luoghi pubblici e/o in locali aperti al pubblico, o che siano, comunque, da tali luoghi percepiti. Tale imposta risulta essere disciplinata quindi, dall’art.5, D.lgs. n.507/1993.
C) Imposta di soggiorno.
Tale imposta può essere istituita dai Comuni,  con delibera del Consiglio, e posta a carico di coloro  che alloggiano nelle strutture ricettizie , così situate nel territorio (art.4, D.Lgs. n.23/2011).
D) Imposta comunale di scopo per le opere pubbliche.
La menzionata imposta. ma è stata integrata dall’art.6, D.Lgs. n.23/2011, riferita al federalismo municipale.
Evidentemente oltre a quelle qui menzionate si devono pure ricordare altre numerose imposte che non possono certo definirsi minori, ma che fanno capo, comunque, alla capacità impositiva degli enti territoriali (ad es., addizionale comunale IRPEF, contributo di sbarco sulle isole minori, addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aereo mobili, oltre numerose altre anche definite  secondarie (IMUS) per la possibilità di istituire canoni di occupazione di spazi ed aree pubbliche ed altro).
4) Tributi locali: accertamenti esecutivi.
L’accertamento esecutivo anche per i tributi locali, comunque, inizia a decorrere dal 1° gennaio di ogni anno e si applica a tutte le entrate non decadute o prescritte a tale data, quindi anche relativamente a tributi pregressi non ancora accertati. Nella tempistica dei nuovi accertamenti, il termine per pagare le somme dovute coincide con quello di proposizione del ricorso; decorso tale termine l’atto acquista qualifica di titolo esecutivo e, a decorrere dal 31° giorno successivo alla scadenza del termine per ricorrere, il carico può essere affidato al riscossore che, ricevuta la trasmissione del carico, ne dà notizia al debitore. Le azioni di recupero possono iniziare, in linea teorica, dopo 60 giorni dalla scadenza del termine di pagamento. Sono tuttavia previsti alcuni oneri informativi che possono anche assumere natura di vero e proprio obbligo, condizionante la legittimità della procedura di recupero.
A partire dal dì 01 gennaio 2020, peraltro, hanno trovato ingresso gli accertamenti esecutivi nel campo delle entrate comunali, quindi, si tratta di una importante novità, recata nella legge di Bilancio 2020 (legge n. 160/2019) che modifica le prassi degli enti impositori e degli operatori, avvicinandole a quelle valevoli per i principali tributi erariali.  
La principale caratteristica del nuovo strumento è rappresentata dalla concentrazione in un unico atto della funzione accertativa e della qualifica di titolo esecutivo, strettamente correlata all’attivazione delle procedure di recupero coattivo. 
Infatti, da ora in poi, quindi, una volta notificato l’accertamento esecutivo, per poter procedere alla riscossione forzata delle somme ivi riportate, in buona sostanza,  non sarà più necessario notificare la cartella di pagamento o l’ingiunzione fiscale, poiché il carico affidato al riscossore locale potrà essere messo in esecuzione, decorsi i termini di legge e previo assolvimento di taluni oneri informativi, così posti a carico dell’ente impositore. 
4.a) Riscossione enti locali potenziata con l’accertamento esecutivo.
Le entrate interessate sono la totalità dei tributi nonché le entrate patrimoniali e, per queste ultime, l’atto al quale si ricollega la qualità di titolo esecutivo è il documento di riscossione; pertanto, secondo l’interpretazione ufficiale, le multe per violazioni al Codice della strada non dovrebbero rientrare nell’ambito operativo della novella.
4.b) Tempistica
L’innovazione trova applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2020, con riferimento tuttavia a tutte le entrate non decadute o prescritte a tale data, quindi anche relativamente a tributi pregressi non ancora accertati.
La tempistica dei nuovi accertamenti è la seguente:
a) il termine per pagare le somme dovute coincide con quello della proposizione del ricorso;
b) decorso il suddetto termine l’atto acquista ope legis qualifica di titolo esecutivo;
c) a decorrere dal trentunesimo giorno successivo alla scadenza del termine per ricorrere, il carico può essere affidato al riscossore, ma non è detto che lo sia in concreto. Una volta ricevuta la trasmissione del carico, il riscossore ne dà notizia al debitore, con raccomandata semplice o con e-mail;
d) le azioni di recupero possono iniziare, in linea teorica, dopo 60 giorni dalla scadenza del termine di pagamento.
Tutto ciò, comunque, significa, in buona sostanza, che, laddove il riscossore abbia ricevuto in carico la pretesa allo scadere del termine di legge, questi dovrebbe comunque attendere ulteriori 30 giorni prima di procedere.
Nella realtà, però, non sarà sempre così; ciò, principalmente, per il fatto che sono previsti degli oneri informativi,  che possono anche assumere natura di vero e proprio obbligo, condizionante la legittimità della procedura di recupero.
 4.c) Comunicazioni tra riscossore e contribuente
Inoltre, deve essere qui posto in evidenza che, già ai sensi dell’art.1, comma 544, legge n. 228/2012, prima di promuovere le operazioni di riscossione coattiva, per somme non superiori a 1.000 euro, occorre inviare per posta ordinaria il dettaglio degli importi dovuti con la relativa causale e attendere 60 giorni (il termine originario di 120 giorni è stato dimezzato con la legge n. 160/2019). Inoltre, è disposto in senso innovativo, rispetto alla omologa procedura, vigente per i tributi statali, che per il recupero di somme non superiori a 10.000 euro, le azioni cautelari ed esecutive devono essere precedute dall’invio di un sollecito di pagamento, contenente l’intimazione a versare le somme dovute entro 30 giorni, nonché l’avvertenza che, in difetto, si provvederà agli atti esecutivi.
Evidentemente, la ratio di tale adempimento è certo quella di prevenire eventuali azioni esecutive “a sorpresa”, così eseguite senza che la notifica dell’atto di accertamento propedeutico sia andato a buon fine e, comunque, tenuto conto del fatto che gli accertamenti dei tributi comunali possono sempre notificarsi tramite raccomandata postale AR, una simile eventualità non può essere a priori esclusa.
Pertanto, da quanto qui messo in evidenza, dovrebbe conseguire che l’invio del suddetto sollecito, diversamente da quanto valevole per l’informativa, così prevista per somme non superiori a 1.000 euro, ha portata condizionante la legittimità delle successive attività di recupero. 
La dinamica delle comunicazioni tra riscossore e contribuente prevede, comunque, l’invio dei seguenti tre documenti:
a) l’informativa della presa in carico della pretesa;
b) il dettaglio delle somme dovute, per importi non superiori a 1.000 euro;
c) l’intimazione a pagare entro 30 giorni, per somme non superiori a 10.000 euro.
Inoltre, in ipotesi  di importi non superiori a 1.000 euro, a stretto rigore, i due obblighi comunicativi si dovrebbero cumulare, con l’effetto che, in pratica, le azioni di recupero non potranno iniziare prima di 90 giorni (60 giorni dal dettaglio di “ruolo” e 30 giorni dalla intimazione) dalla presa in carico, assumendo altresì che l’incaricato della riscossione si attivi immediatamente dopo la ricezione del flusso da parte del comune.
4.d) La legittimità della disciplina dell’aggio
Si osserva da ultimo che la riforma della riscossione dei tributi comunali pone con forza, all’attenzione degli interpreti e dei giudici, il problema della legittimità della disciplina dell’aggio spettante all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Infatti, ai sensi dell’art.1, comma 803, legge n. 160/2019, qualora la riscossione dei tributi comunali venga effettuata in proprio dal comune oppure da un privato da questi incaricato ai sensi di legge, gli oneri di riscossione sono pari, al più, al 6% delle somme, con un tetto massimo in valore assoluto di 600 euro.
Al contrario, l’agente della riscossione non ha alcun limite di importo, con l’effetto che il contribuente si vedrà addebitare costi anche molto più elevati, qualora il comune si sia rivolto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
In proposito, si deve qui esprimere l’opinione che, poiché la natura dell’aggio è quella di una rifusione delle spese sostenute, ad esso deve essere apposto un limite in valore assoluto, diversamente la pretesa si appaleserebbe illegittima, accostandosi ad una prestazione di carattere para tributario, senza tuttavia che ricorrano le condizioni di cui al noto art.53 della Costituzione. 
Evidentemente, quindi, la novella citata dovrebbe accelerare, secondo buon senso, un intervento legislativo di portata più generale.
4.e) Nuova IMU tra aliquote, detrazioni ed esenzioni.
E’ certo il caso di notare che, per ciascuna categoria di immobili, l'aliquota di base della nuova IMU è costituita dalla somma delle vigenti aliquote di base IMU e TASI: per gli immobili diversi dalle abitazioni principali, che rappresentano la categoria di maggior rilevanza ai fini del gettito, l'aliquota di base, pari allo 0,86%, è costituita dalla somma dell'aliquota di base IMU (0,76%) e TASI (0,1%). Il carico fiscale sugli immobili non dipende, però, dall'applicazione dell'aliquota di base, ma dall'aliquota effettivamente deliberata che può essere stabilita nei limiti dello spazio di manovrabilità concesso ai Comuni. Si prevede una completa manovrabilità al ribasso, con facoltà per i Comuni di azzerare l'aliquota, e una manovrabilità al rialzo identica a quella vigente.
Infatti, a decorrere dal 2020 è abolita, ad eccezione delle disposizioni relative alla tassa sui rifiuti (TARI), l’imposta unica comunale (IUC) e la imposta IMU viene disciplinata dai commi da 739 a 783 dell'art.1 della legge di Bilancio 2020. Pertanto, allo stato, nasce la nuova IMU, che comprende l'IMU e la TASI.
5) La vicenda processuale e la decisione delle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. sentenza n.23997/2016) | Prescrizione ordinaria, prescrizione breve e i termini di prescrizione tributaria | La prescrizione dei tributi | La prescrizione dei contributi di bonifica |
La citata sentenza, qui richiamata ha il grande merito di aver dipanato le diffuse “disarmonie” riscontrate tra le pronunce delle diverse Sezioni semplici della Corte di cassazione e di aver affermato esplicitamente principi di diritto, che qui differenziano i termini prescrizionali, in virtù della natura giurisdizionale o amministrativa dell'atto, da cui scaturisce la pretesa impositiva.
La decisione della Suprema Corte risolve la “disarmonia” (Cass. civ., ss.uu., 17 novembre 2016, n. 23397) venutasi a creare nella giurisprudenza di merito a seguito “dell'erronea determinazione” del contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 17051/2004 a proposito della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali, sanzioni amministrative pecuniarie e/o violazioni di norme tributarie. Inoltre la decisione è di appena sei giorni successiva a quella di segno diametralmente opposto, pronunciata l'11 novembre 2016 dalla Cassazione in materia di tassa sui rifiuti. Infatti, la sentenza citata afferma che gli avvisi di intimazione e di mora relativi alle cartelle notificate in materia di TARSU e contributo sanitario nazionale, notificati nel termine decennale decorrente dalla definitività delle cartelle, erano tempestivi.
La  Corte ripercorre il solco già tracciato dalla sentenza delle Cass. civ., sez. Unite, 10 dicembre 2009, n. 25790 che richiedeva, per l'applicabilità della conversione del termine prescrizionale  ai sensi dell'art. 2953 c.c., l'esistenza di un provvedimento giurisdizionale quale una sentenza passata in giudicato tra le parti o un decreto ingiuntivo che avesse acquisito  efficacia di giudicato formale o sostanziale  e non anche una dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti o atti amministrativi che legittimano la riscossione coattiva dei crediti dell'erario e/o degli enti previdenziali (cfr. Cass. civ., 16 novembre 2006, Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12263).
Volendo esaminare, almeno in parte qua, ma dettagliatamente la questione, qui in esame, si deve ricordare che la Corte Suprema di Cassazione ha dato inizio al relativo iter con l'ordinanza interlocutoria (Cfr. Corte di Cassazione, Ord. datata 29 gennaio 2016 n. 1799) in quanto l'Inps sosteneva essenzialmente l'applicazione analogica dell'art. 2953 c.c. alle cartelle di pagamento notificate dall'ADR, sostituite dal 1° gennaio 2011 dall'avviso di addebito, e ciò a fronte dell'operatività della conversione del termine di prescrizione breve (art. 3, commi 9 e 10, Legge n. 335/1995) in quello ordinario decennale, a seguito della non impugnabilità della stessa; in senso opposto il contribuente propendeva per la mancanza di attitudine dell'atto amministrativo ad acquistare efficacia di giudicato.
La consumazione del termine per l’impugnazione, sosteneva il contribuente, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non determinava dunque alcun effetto processuale, restando fermo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito. Presupposte le rispettive ragioni, le motivazioni della statuizione sono di palmare chiarezza e vengono illustrate dalla Cassazione lambendo anche la differenza tra la categoria dei “c.d. titoli esecutivi paragiudiziali” (cfr. Cass. civ., sez. I, 12 novembre 1992, n. 12189; Cass. civ., sez. I, 1 aprile 2004, n. 6362; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2012, n. 13516) e quella con titoli giudiziali, atti a divenire definitivi ed incontrovertibili a fronte della mancata o tardiva opposizione (cfr. Cass. civ., 24 settembre 1991, n. 9944; Cass. civ., 2 ottobre 1991, n. 10269; Cass. civ., 26 ottobre 1993, n. 11421).  In ogni caso, dando atto per assodato che la cartella di pagamento e gli altri titoli, che legittimano la riscossione coattiva dei crediti dell'Erario e/o degli enti previdenziali hanno natura di atti amministrativi, la loro non attitudine ad acquisire efficacia di giudicato (cfr. Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. civ. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. civ. 26 maggio 2003, n. 8335) produce unicamente il risultato di rendere la pretesa incontrovertibile (irretrattabile), qualora la parte onerata non abbia rispettato la perentorietà del termine di cui all'art. 24 del D.Lgs. n. 46/1999 nel caso di contributi previdenziali (cfr. in tale senso, Cass. civ. 14 ottobre 2009, n. 21790). 
Pertanto, oltre alla cristallizzazione del credito contributivo in capo alla parte, l'omessa tempestiva impugnazione è funzionale anche ad una “rapida riscossione” (cfr. Cass. civ. 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. civ. 12 marzo 2008, n. 6674; Cass. civ. 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass. civ. 15 ottobre 2010, n. 21365; Cass. civ. 19 aprile 2011, n. 8931; Cass. civ., 8 giugno 2015, n. 11749; Cass civ., 15 marzo 2016 n. 5060) da parte dell'Ente previdenziale oltre a garantire il contribuente da un “imprevisto allungamento del termine di prescrizione del credito, quale originariamente stabilito”. 
Il medesimo orientamento, peraltro, è stato seguito pure per le iscrizioni a ruolo delle imposte dirette ed indirette, con il riconosciuto dell''esistenza della categoria dei titoli esecutivi formati sulla base di un mero procedimento amministrativo dell'ente impositore (cfr. Cass. civ., sez. lav., 9 febbraio 2010, n. 7667).  
In caso contrario si porrebbe in essere “un contrasto con la ratio della perentorietà del termine per l'opposizione”, difatti l'allungamento immotivato del termine prescrizionale porrebbe il debitore in una “perenne incertezza in una materia governata dal principio di legalità cui per primi sono tenuti ad uniformarsi gli stessi Enti della riscossione e creditori”.  
La soluzione della vicenda processuale ruota dunque, attorno la natura autoritativa e ciò nel senso che: “ … pur avendo natura di atto amministrativo con le caratteristiche del titolo esecutivo (ed eventualmente anche del precetto, come accade per la cartella di pagamento de qua), tuttavia privo di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato perché è espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A.”). 
L’atto amministrativo, in buona sostanza, essendo emanato da un ente pubblico è quindi privo di un giudizio e/o verifica sulla propria legittimità da parte di un giudice terzo ed imparziale e al di fuori dei principi dell'art. 111 Cost. Privato di una tal essenziale verifica giurisdizionale che garantisca la stessa fondatezza della pretesa tributaria, l'atto d'ingiunzione è relegato a mero atto di parte e conseguentemente privo degli effetti propri riservati ai provvedimenti scaturenti dal contraddittorio innanzi al giudice, quali l'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Medesima soluzione per l'avviso di addebito INPS, che dal 1° gennaio 2001, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale (art. 30 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge n. 122/2010).
La richiamata sentenza, quindi, applica un principio a carattere generale secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o per impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non determina anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c..
Evidentemente il principio opera per tutti gli atti della riscossione quali: riscossione coattiva di crediti previdenziali, crediti erariali, tributari ed extratributari, crediti delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli Enti Locali, sanzioni tributarie o amministrative. Inoltre l'evidente inapplicabilità del dettato codicistico sopra indicato all'ingiunzione fiscale in quanto atto di natura amministrativa, può dedursi anche dall'evoluzione normativa in materia; l'art. 2, 2° comma, R.D. 14 aprile 1910, n. 639 stabiliva che “l'ingiunzione è vidimata e resa esecutiva dal pretore nella cui giurisdizione risiede l'Ufficio che la emette (…)”, il visto del Pretore era quindi indispensabile al fine di conferire esecutorietà all'atto e vimare la relativa sottoscrizione. Con l'avvento dell'esecutorietà di diritto, ad opera del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 è orami manifesta la natura dell'ingiunzione fiscale quale atto amministrativo, da un lato, e di atto di accertamento e titolo esecutivo, dall'altro (cfr. Cass. civ., 2 giugno 1999, n. 5350; Cass. civ., 23 giugno 1995, n. 7141; Cass. civ., 9 maggio 2000, n. 5906 per la quale “ l'ingiunzione fiscale in argomento si configura come atto complesso, cumulante in se la duplice natura e funzione di titolo fiscale, formato unilateralmente dall'amministrazione finanziaria nell'esercizio del suo peculiare potere di auto accertamento e di autotutela, da un lato, e di atto prodomico all'inizio dell'esecuzione coattiva, equipollente al precetto nella esecuzione disciplinata dal codice di rito civile”). 
6) Esame di alcune particolari situazioni in una recente pronuncia della C.T.P. di Pesaro (Cfr. Comm. Trib. Prov., Sez. II, sentenza 26.11/17.12/2019, n.420). 
La richiamata sentenza riguarda un soggetto contribuente che, come si legge nella narrativa del fatto, così portato all’attenzione dei GG.TT. prende in esame il limitato consumo del medesimo in ordine alle relative utenze (energia elettrica, acqua e gas) che hanno fatto presumere all’Ente locale accertatore, che lo stesso non è effettivamente residente nell’abitazione del relativo Comune. 
Infatti, dalle considerazioni appena sopra esposte, dalla stessa persona giuridica pubblica viene dedotto che la parte contribuente, ai fini IMU, non è residente, in realtà, nella casa di civile abitazione nella quale, peraltro, risulta essere residente anche anagraficamente.  
Pertanto, proprio sulla base di dette considerazioni, viene determinata la revoca della stessa agevolazione IMU, prima casa, con applicazione delle sanzioni interessi e spese come indicate nell’atto impositivo, qui oggetto della relativa impugnazione. 
In realtà, però tale considerazione dell’ente pubblico non è sembrata condivisibile ai GG.TT., che nella sentenza appena sopra richiamata, hanno accolto in toto il proposto ricorso con conseguente annullamento dell’atto impositivo, qui oggetto della relativa impugnazione. 
Inoltre, nella motivazione di detta sentenza si legge testualmente che: “…Il Collegio osserva, altresì, che tali dati, comunque, non sono in possesso dello stesso soggetto contribuente, che non può venirne a conoscenza, anche usando l’ordinaria diligenza, in quanto qui si tratta di dati non soggetti nemmeno a pubblicità legale, così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ove è stato evidenziato il menzionato principio…”. 
Infatti, nella giurisprudenza di legittimità si rinviene il principio secondo cui: “…In tema di accertamento tributario fondato su parametri e studi di settore e motivato "per relationem", determina l'invalidità dell'atto impositivo l'omessa allegazione del prospetto contenente i risultati della concreta applicazione dei parametri medesimi, che ha carattere integrativo essenziale della indicazione dei presupposti di fatto e diritto della pretesa tributaria, salvo che il contribuente ne abbia avuto altrimenti conoscenza..” (Cfr., in particolare Cassazione civile, sez. trib. Sentenza 19 dicembre 2014, n. 27055, in De Jure Ed. Informatiche Giuffrè); a tale insegnamento, quindi, ha inteso attenersi il Collegio, al fine di poter risolvere la relativa questione, qui in esame. 
Il Collegio, peraltro, pure ricordando che in detta analoga fattispecie la stessa CTP si è già pronunciata,  altresì, in favore dello stesso tributo locale IMU, per altra annualità, tra le medesime parti, in quanto la questione è stata sviluppata su contestazioni, apparentemente  identiche a quelle qui sollevate (Cfr., a tale proposito, anche in tempo recente, la sentenza data da questa Sezione sul ricorso iscritto al R. G. R. n.347/2018, così deciso con sentenza del 15 febbraio/05 marzo/ 2019, C.T.P. Pesaro, sentenza n.94/2019, oltre altre) afferma che, nel caso di specie, anche per l’intervenuta produzione documentate, così operata dalla difesa di parte ricorrente, emerge in tutta evidenza che non si ravvisano, comunque, elementi tali da giustificare non certo un rigetto della domanda di parte contribuente, come invocato dalla difesa della resistente, bensì un accoglimento pieno della domanda.
In generale occorre ricordare che, per abitazione principale, ai fini IMU e TASI, si deve intendere quella dove il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente; in assenza di residenza e dimora l'immobile va qualificato come abitazione a disposizione, e viene a cadere, quindi, l’agevolazione de qua.
L'esenzione IMU si ha, invece, nell'ipotesi in cui vi è il titolare di diritto reale sul bene, il quale dimostra, come nel caso di specie, di avere in tale luogo la dimora abituale e, comunque, ivi risiede anche anagraficamente. 
La C.T.P. adita, peraltro, per quanto riguarda la stessa utilizzazione dei consumi relativi alle utenze, al fine di verificare o meno la corretta applicazione dell’agevolazione, afferma che i consumi rappresentano, in ogni caso, una misurazione specifica diretta e strumentale, rispetto al concetto di “dimora abituale”.
Pertanto, non è certo con tale modalità, che possa essere affermato che l’immobile in questione sia a disposizione del contribuente come seconda casa; ciò, evidentemente, nel senso che essere presente o meno, in certi periodi del giorno e/o della notte, basando tale deduzione, peraltro, solo ed unicamente sui consumi di energia elettrica e gas, non possa assurgere ad elemento, che porta ad affermare, senza possibilità di dubbio alcuno, che l’immobile in questione sia una seconda casa, a disposizione del proprietario e, quindi, non  possa godere dell’agevolazione IMU de qua, come sostenuto dal Comune resistente. 
Il Collegio, inoltre, osserva pure che entrare in valutazioni di merito, riferite ad un comportamento personale di un qualsiasi contribuente, qualunque esso sia, che interessa lo svolgimento della vita stessa e le scelte del medesimo soggetto, è più che altro una illegittima ingerenza nella vita altrui, da cui non si può fare discendere, peraltro, come qui avvenuto, la fruizione o meno di una agevolazione. 
Vero è, comunque, al contrario, che, nel caso di specie, le stesse affermazioni, così rese con il ricorso dalla difesa della parte contribuente, in buona sostanza, non incidono sulla perdita della stessa agevolazione, ma confermano, eventualmente, un utilizzo che rappresenta, comunque, che l’immobile de quo è “dimora abituale “e sede della residenza del soggetto contribuente. 
 Il Collegio afferma, altresì, che l’utilizzazione anche saltuaria o limitata nel tempo dell’immobile, in una qualsiasi giornata, non determina, con ciò stesso, la perdita della caratteristica di tale bene di essere “dimora abituale”; quindi, in assenza di una presenza stabile giornaliera, non si può mai affermare che, essere residente e/o avere la dimora abituale, comunque,  possa essere affermata o meno con riferimento alla frequenza ed intensità della utilizzazione di un determinato immobile, dove si trova, come nel caso di specie la “famiglia mononucleare”, che rimane, comunque, “abitazione principale”, così godendo della relativa agevolazione fiscale.
E’ in tutta evidenza, quindi, che è demandato al Collegio costituito dai GG.TT. di valutare, con estrema ponderazione i dati e gli elementi, che portano a concludere per l’accoglimento o meno, come nel caso di specie, in ordine alla domanda di annullamento di un atto impositivo a favore della parte contribuente. 

         

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